L’evoluzione di una società sempre in movimento si esprime anche e soprattutto con la fusione di razze ed etnie diverse. Tale fusione avviene perché si intrecciano relazioni di coppia che danno vita a famiglie multietniche ma anche con le adozioni di bambini stranieri. L’Italia non è da meno e spesso l’inserimento di un bambino straniero adottato con esperienze scolastiche pregresse e diverse porta a degli interrogativi: uno su tutti è quello di capire di cosa ha bisogno un bambino che si trova nella condizione di essere “adottato e straniero”.
Spesso ci troviamo di fronte ad un bambino che ha una storia di vita piena di carenze, abbandoni, traumi ed altre esperienze negative il cui unico scopo è spesso quello di riuscire ad adattarsi al nuovo stile di vita della famiglia adottiva. Ma non va dimenticato che viene catapultato in una parte del mondo che forse neanche conosceva con usi, costumi, lingua ed abitudini totalmente diverse da quelle che ha appreso finora.
È importante sapere cosa ci si aspetta da un bambino che prima di tutto dovrà imparare una nuova lingua, che gli permetterà di entrare in relazione con compagni ed insegnanti e solo in un secondo momento, quando avrà fatta propria questa lingua si potrà pensare che egli riesca ad apprendere regole, routine ma anche concetti ed informazioni come un bambino madrelingua. È importante sviluppare e mettere in atto strategie che ne facilitino l’inserimento affinché il processo di apprendimento si avvii senza intoppi.
Spesso quando si ha a che fare con un bambino straniero adottato, vengono a galla tutte le carenze che ne evidenziano una condizione di incapacità di adattamento e grossi limiti nel processo di apprendimento, potenzialità poco sfruttate sia in ambito scolastico che nella famiglia di origine. La scuola ed i servizi di adozione possono fare tanto per facilitare l’inserimento e l’integrazione ma devono lavorare in sinergia, confrontarsi, parlare affinché il nodo centrale, intorno al quale ruota tutto sia il bambino portatore di storie “difficili” e quindi con la difficoltà di apprendere cose nuove.
Il fenomeno delle adozioni internazionali ha sempre cifre da record in Italia e continua a crescere anno dopo anno. La coppia che si delinea è una coppia con un alto livello di istruzione rispetto alla media e ancora di più le madri rispetto ai padri. Dal lato dell’adottato ci troviamo spesso di fronte ad un soggetto che rientra, secondo la letteratura scientifica, tra i soggetti ad alto rischio di difficoltà socio relazionali e scolastiche. L’età rappresenta uno dei fattori di rischio: nei bambini adottati entro i sei mesi o l’anno di vita pur con delle eccezioni i rischi sono bassi, mentre i bambini adottati in età più avanzate hanno una maggiore incidenza di certe problematiche.
Anche l’istituzionalizzazione precoce ha un forte impatto infatti gli orfanotrofi (che caratterizzano soprattutto la soluzione per i paesi dell’est) seppur dotati di risorse ed opportunità non rappresentano luoghi idonei per la crescita dei bambini. In Italia dove non esistono orfanotrofi ma comunità alloggio per minori (case-famiglia) circa 1/4 dei bambini riesce a portare avanti uno sviluppo nella norma.
Problemi emotivo-motivazionali possono portare a difficoltà di integrazione, di relazione e di apprendimento con conseguente disagio sperimentato da molti alunni provenienti da altre culture. Un bambino straniero adottato porta con sé un’identità culturale che spesso non riesce a condividere con la sua nuova famiglia perché da parte dei nuovi genitori c’è inevitabilmente la volontà che egli abbracci la sua nuova cultura, pur mantenendo quella di origine; il bambino si dovrà quindi barcamenare tra un’identità italiana che non gli appartiene ancora e l’identità originaria che poco a poco non gli apparterrà più, trovandosi di fatto ad essere “doppiamente straniero”.
La famiglia che adotta dovrebbe invece favorire il mantenimento delle basi culturali ed etniche del bambino adottato, perché come detto fanno parte della sua identità, l’idea che per essere italiano si debba perdere il proprio passato, il rapporto con le proprie origini è sbagliato e non fa altro che creare confusione e disagio nel bambino. Secondo alcuni autori (Van Ljzendoon e Juffer, 2006) è forte e positivo l’impatto emotivo sulla vita di un bambino adottato, ma anche su quella degli adulti che riescono ad avere accesso alla genitorialità. Essi riescono a mettere in atto una buona qualità di cure parentali offrendo al bambino un contesto stabile ricco di esperienze.
Non è solo la famiglia a dover sviluppare strategie di integrazione e di mantenimento dell’identità culturale nativa attraverso l’acquisizione di nuove abitudini, lingua, cultura, ecc., anche la scuola deve fare la sua parte, deve cioè favorire più che l’integrazione la cooperazione tra gli alunni affinché lo straniero non venga considerato tale in virtù della sua etnia ma venga visto come una risorsa nel raggiungimento di uno scopo comune. I bambini adottati spesso presentano una maggiore vulnerabilità che può condizionare il successo scolastico. Di ciò la scuola deve essere consapevole perché queste difficoltà possono dar luogo a situazioni di conflitto, tensioni, pressioni, incomprensioni e delusioni. Una vulnerabilità che rende molto più probabile la presenza di difficoltà scolastiche con conseguenti elevati livelli di ansia per il bambino e la sua famiglia.
In estrema sintesi è necessario tenere in considerazione alcune criticità nell’inserimento a scuola di bambini stranieri adottati seppur nella consapevolezza che ogni bambino ha una storia a sé. L’inserimento scolastico è un momento che va curato e gestito pianificando e ponendo attenzione alle abilità linguistiche, all’autoregolazione ed all’atteggiamento verso la scuola già sviluppato nella scolarizzazione precedente. Riconoscere eventuali criticità e difficoltà deve essere una prerogativa dell’istituzione che lavorando in sinergia con la famiglia ed eventualmente con figure specializzate (tutor, educatori, traduttori) deve valorizzare le abilità e gli interessi del bambino per promuoverne l’autostima affinché egli si metta in gioco evitando il disimpegno scolastico.
Per approfondire:
Adriana Molin “Il caso di un bambino straniero adottato” in “Psicologia e scuola” anno 31°, Set.-Ott. 2011, n.17, pp. 33-43
© Dott. Pasquale Saviano
Psicologo – Psicoterapeuta