Negli anni di precariato e nell’esperienza di tirocinio diretto ho avuto la fortuna di conoscere da vicino il mondo dell’Handicap, ho infatti collaborato spesso con Progetti che favorivano l’inclusione di alunni diversamente abili, mi sono reso conto che quel mondo è molto più complesso e variegato rispetto a quello cosiddetto “normale”. Lavorare con il diversamente abile, infatti, è qualcosa di più profondo, di più coinvolgente ed impegnativo, che non si esaurisce con la spiegazione di contenuti, né con l’uso di particolari metodologie, ma è un qualcosa che ti porta a metterti in gioco quotidianamente e costantemente, anche quando pensi di avere la situazione sotto controllo. Credo che chi sceglie di svolgere le funzioni di docente di sostegno non deve solo saper superare dentro di sé tutte quelle forme di emarginazione nei riguardi degli altri, in modo specifico dei ragazzi diversamente abili, ma deve coltivare e sviluppare in sé stesso quelle qualità etiche e sociali che lo mettano in condizione di accettare, comprendere e mettersi al servizio dell’altro per proporgli gli aiuti necessari ad accrescere tutte le sue potenzialità grandi o piccole che siano. La scuola dunque deve essere considerata come comunità educante, in cui gli insegnanti non si pongono come trasmettitori di saperi ma punti di riferimento per un percorso di crescita personale.
Ricordo ancora i primi anni d’insegnamento segnati da grande emozione, paura di sbagliare e incertezza sul da farsi. Ho cercato sempre di fare tesoro di tutte le esperienze, positive e non, che ho vissuto. Il mio atteggiamento di continua ricerca, di curiosità, questo volere “rubare” i segreti del mestiere dai colleghi più anziani segreti che mi hanno rafforzato e reso più consapevole delle mie capacità, consentendomi di insegnare come “supplente” in diverse situazioni operative che mi hanno permesso di acquisire un bagaglio di conoscenze e di vissuto scolastico di innegabile aiuto nell’azione educativa e formativa della mia professione. Ovviamente, a mio parere, l’esperienza, breve o lunga che sia, non basta a far diventare un buon insegnante se non c’è dietro quello spirito, quella specie di “vocazione” all’insegnamento da cui ogni docente dovrebbe essere pervaso e che ti spinge ad andare avanti e non mollare mai, specialmente quando il tuo duro lavoro di noviziato ti porta a prestare servizio in piccole e grandi scuole, spesso in difficili contesti, cambiando continuamente sedi, affrontando casi difficili, in mille situazioni e circostanze sempre uguali e sempre diverse, tutto questo ha valore per chi come me è un docente curriculare figuriamoci per un docente di sostegno.
Uno degli elementi distintivi che meglio caratterizzano la figura del docente di sostegno è quello di essere per prima cosa una figura di mediazione e di rete fra tutte le diverse componenti che intervengono nel delicato processo educativo e formativo, il quale coinvolge tutti coloro che operano nella scuola divenendo una figura di riferimento proprio perché, oltre ad essere assegnato all’alunno diversamente abile è l’insegnante dell’intera classe a cui esso appartiene, si deve essere in grado di interagire con le diverse figure che ruotano intorno alla scuola e alla disabilità. E’ necessario quindi possedere capacità relazionali e collaborative per assumere la funzione di “perno” tra scuola, famiglia ed equipe pedagogica divenendo un costruttore di trame, di reti tra gli alunni della classe, tra i docenti, tra i genitori e gli enti esterni.
Il compito del docente di sostegno è quello di far comprendere agli alunni diversamente abili il ruolo che anch’essi possono e devono ricoprire nella società del domani. Dunque, occorre impegnarsi a:
-valorizzare l’esperienza del ragazzo;
-valorizzare il confronto interpersonale;
-riconoscere la diversità come ricchezza;
-praticare l’impegno personale e la solidarietà sociale;
-attivare al massimo le risorse di cui i ragazzi sono dotati.
Essere insegnanti di sostegno dunque equivale, per diversi motivi ad una grande sfida. La prima grande sfida che si affronta è quella relativa all’integrazione. Per far sì che l’allievo e/o l’allieva diversamente abile si integri nel contesto scolastico occorre, innanzitutto, instaurare con essi un rapporto basato sul dialogo e la fiducia e allo stesso tempo creare, nel contesto classe in cui ci si trova ad operare, un clima sereno in cui la diversità viene accettata e viene ritenuta un arricchimento da tanti punti di vista. Per raggiungere tale obiettivo occorrono, a mio avviso, grande flessibilità, empatia e capacità relazionali molto spiccate.
La seconda sfida è quella di riuscire a possedere particolari “competenze psico-pedagogiche, relazionali, didattiche e saper svolgere il ruolo di mediatore dei contenuti programmatici, relazionali e didattici”. Inoltre in tutti questi anni ho dovuto spesso lottare per far comprendere agli studenti, ai genitori e, ahimè anche ai colleghi, che l’insegnante di sostegno opera a beneficio “della classe” e non solo del singolo alunno disabile. L’insegnante di sostegno non è, come ho sentito dire all’inizio della mia carriera: “il professore dei malati”, il “tuttologo” o “il professore di serie B” bensì un professionista, motivato quanto e forse più dei colleghi, con competenze generali e specifiche, con professionalità acquisite dallo studio e sul campo. Per questo io ritengo che diventare insegnanti di sostegno equivale a mettere in piedi una difficile sfida, significa percorrere un sentiero spesso irto di difficoltà e scabrosità, la cui meta è rappresentata dal raggiungimento dell’ obiettivo, primo ed ultimo: l’inclusione.